domenica 29 gennaio 2012

I giorni della merla




Molti anzi moltissimi anni fa i merli erano bianchi. Bianchi da piccoli, bianchi da adulti, bianche le femmine. Erano molto amati da tutti e ammirati: non c’erano altri uccelli così bianchi.


Poi un anno successe un evento strano e inatteso: faceva un gran freddo, un freddo polare, nessuno usciva di casa e le provviste calavano pericolosamente nelle case. Faceva un tale freddo che la gente non aveva nemmeno più fame. Con un gennaio così un taglialegna fece quello che faceva sempre. Andò nel bosco, scelse un albero bello grosso e lo tagliò per farne legna per il camino. La sua famiglia aveva tanto freddo e i suoi bimbi si stavano ammalando. 


Di solito il nostro taglialegna prima di tagliare un albero guardava bene che non ci fossero nidi, e anche questa volta lo esaminò con cura. Ma era un albero così grande che non riusciva a guardarlo tutto e da tutte le parti e per dipiù nevicava. Era tutto bianco intorno e in tanto bianco i merli non si vedevano. 


Non vi dico l’angoscia di mamma merla quando il loro albero fu a terra. I suoi piccoli sapevano a malapena volare e non avevano un tetto sotto cui ripararsi. Inoltre cominciava a nevicare fitto fitto e bisognava fare qualcosa ad ogni costo. Così si divisero i compiti: papà merlo partì per primo, alla ricerca di un’altra casa, confortevole e caldina e di un po’ di cibo. Si diedero un appuntamento quotidiano per ritrovarsi non appena avessero trovato entrambi  la soluzione ai loro problemi. 


Mamma merla sistemò come meglio poteva i suoi piccoli, raccomandò loro di non muoversi da quel che rimaneva del nido e promise che sarebbe tornata al più presto. I piccoli merli avevano tanta paura, ma vedendo la loro mamma così spaventata all’idea di lasciarli soli, si fecero coraggio e le dissero: “ Stai tranquilla mamma, al tuo ritorno saremo qui, esattamente come ci lasci adesso”.  E la mamma partì con l’angoscia nel cuore, non prima di aver rivolto al Buon Dio una preghiera perché proteggesse i suoi cuccioli di merlo. E volò via.


Sorvolò il bosco dove avevano distrutto il suo nido, e si ritrovò nella periferia di una città che non aveva mai visitato: non aveva tempo per fare la turista, doveva allevare i suoi piccoli merli. Nel sorvolare i tetti delle case si accorse che vicino ai comignoli faceva un bel caldino. Si avvicinò ad uno di essi, lo provò e capì che poteva essere una soluzione per la sua famiglia, anche se provvisoria, ovviamente. 


Se la famiglia che abitava in quella casa avesse avuto molto freddo, avrebbe riempito di legna il focolare e abitare lì dentro sarebbe diventato veramente pericoloso.


Mamma merla tornò al nido: i suoi piccoli guardavano con ansia verso la parte da cui era partita sperando di vederla comparire presto. Insieme, scaldandosi l’un l’altro, aspettarono l’ora dell’appuntamento con il papà e quando furono riuniti presero dal vecchio nido quei pochi fili di lana che c’erano e che potevano essere utili nella nuova sistemazione e si diressero verso il camino che la mamma aveva scelto perché le era sembrato più adatto e più sicuro. Si sistemarono alla bell’e meglio, stretti stretti, e si prepararono ad affrontare la notte. La mattina dopo papà merlo volò via alla ricerca di cibo e gli uccellini si strinsero alla mamma per affrontare, con un po’ di paura, la giornata in quel luogo che per quanto caldino restava comunque sconosciuto.


Fuori continuava a nevicare e fu con difficoltà che papà merlo trovò qualche briciola davanti al negozio del fornaio. Per fortuna un bambino aveva lasciato cadere un bel pezzo della sua merenda davanti alla scuola: anche quello si rivelò prezioso per i piccoli merli. Passò una giornata, una seconda e una terza. Il quarto giorno infine tornò il sole. I merli finalmente potevano uscire dal comignolo! Si posarono sul tetto della casa. “Piccoli, disse la mamma, scuotetevi che siete tutti neri di fuliggine”. “Anche tu, mamma”.


Si scossero ben bene, ma restavano tutti neri, papà compreso



“Sarà così per sempre, disse il Buon Dio, per ricordare la vostra avventura, la dedizione con cui avete assistito i vostri piccoli, e il rispetto che avete avuto voi cuccioli nei confronti dei vostri genitori, obbedendo ai loro desideri.” E così fu.





Quanto ai tre giorni che avevano passato nel comignolo e che erano stati i più freddi di quell’anno e di molti altri prima e dopo quell’evento, sono il 29, il 30 e il 31 gennaio e sono  ricordati come” i tre giorni della merla”.








venerdì 13 gennaio 2012

Brogetto il folletto

Dopo una lunga vita di qualche centinaio di anni in mezzo ai suoi simili, il folletto Brogetto aveva deciso di ritirarsi in una casetta che aveva costruito sul limitare del bosco. Stava meglio da solo alla sua età venerabile. 

Intorno alla sua casetta aveva un bell’orto che coltivava con amore.

Era il suo regno, dove il cielo è sempre più blu che in qualsiasi altro luogo. Nell’orto c’erano carote, pomodori, insalate e tante rose. C’erano anche un paio di alberi di mele rosse e un grande alveare sempre pieno di miele, morbido e saporito.
Oltre il suo orto c’erano altri regni: il regno degli uccellini ai quali durante la stagione della frutta metteva un cestino con tante mele, il regno dei coniglietti, ai quali metteva sempre un cesto di carote, il regno dell’Orso Gigante al quale metteva puntualmente una ciotola di miele. E tutto intorno volavano decine e decine di bellissime farfalle colorate, alle quali gettava i petali delle sue profumatissime rose.


Quanto ai suoi compagni folletti, per loro coltivava delle enormi e squisite zucche che regalava loro per nutrire le numerose famiglie composte anche da golosissimi follettini. Non poteva desiderare di più dalla vita.

Ma (nelle storie c’è sempre un MA…), un brutto giorno Brogetto prese la più terribile delle malattie che possa capitare ad un folletto che vive nella natura: il raffreddore da fieno. Era primavera e improvvisamente il nostro eroe cominciò a starnutire e ad avere gli occhi rossi. Tentò più volte di andare nell’orto a lavorare, ma proprio non ce la faceva. Era costretto a chiudersi in casa e a guardare dalla finestra il suo orto che appassiva per mancanza di acqua e ingialliva per mancanza di cure.


Brogetto era proprio disperato. Naturalmente non poteva più mettere agli uccellini il solito cesto con le mele, né il cesto di carote ai coniglietti, né la ciotola di miele al Grande Orso. Anche le farfalle smisero presto di volare nei dintorni e furono costrette a cercare altrove il loro cibo preferito.

Brogetto aveva un bel fregarsi gli occhi, starnutire a più non posso e piangere a calde lacrime: il raffreddore da fieno non passava e l’orto era sempre più giallo.

Vennero a trovarlo i suoi compagni folletti. Gli portarono tante cose buone, tutte quelle che piacciono ai folletti come loro, ma lo consolarono solo un pochino. Brogetto era molto triste e pensava che ormai per lui fosse tutto finito.

Passavano i giorni e la situazione non cambiava. Poi una mattina Brogetto sentì gli uccellini cinguettare davanti alla sua finestra. Tutto contento si affacciò per salutarli e si trovò davanti anche i coniglietti, l’Orso Gigante, le farfalle, un paio di tartarughe (le altre stavano arrivando, ma ci voleva ancora un po’ di tempo, sono molto lente!...).  C’erano anche alcune lucertole, un paio di porcospini, alcune api e due bellissimi cani, Gaya e Grindel.

"Buongiorno, amici miei. Che piacere vedervi!..."  Brogetto si sentiva rinato.

Grindel, il cane, prese la parola (come sapete animali e folletti parlano spesso fra loro) e disse: «Buongiorno buon folletto Brogetto.


Ci siamo riuniti tutti gli animali nel bosco e siamo venuti da te per farti una proposta. Tutti noi ti dobbiamo molto e abbiamo deciso di aiutarti. Finora hai provveduto a noi, senza badare a dimensioni o caratteri. Ci hai dato da mangiare tutte le cose che ci piacciono di più, le hai coltivate per noi con amore e ora ti dispiace di non poterlo più fare.


Noi sappiamo bene che la situazione è provvisoria, presto tornerai sano come un pesce. Ma nel frattempo il tuo orto ne risente. E l’anno prossimo ci troveremo tutti di nuovo nella stessa situazione perché la malattia che hai preso si ripete tutti gli anni quando comincia la primavera».


«Così, visto che non puoi andare a lavorare nell’orto come hai sempre fatto, ci penseremo noi. Alcuni si incaricheranno della coltivazione degli ortaggi, altri della loro raccolta. Poi, per esempio, Gaya è specializzata nel trasporto di carrette pesanti e porterà la frutta e la verdura a chi non potrà venire a prenderla. 

Le api si occuperanno dell’alveare, le farfalle delle rose, le lucertole, che sono veloci, delle comunicazioni fra tutti noi, i coniglietti dell’orto, le tartarughe proteggeranno con la loro casa i germogli più fragili. Il compito dei porcospini sarà quello di proteggere il tuo orto da sgradite intrusioni insieme all’Orso Gigante.

Se poi avremo bisogno di aiuto contiamo su di te per darci buoni consigli e su tutti gli animali della foresta che ci hanno promesso il loro appoggio incondizionato.
 Dicci se sei d’accordo: noi siamo pronti a cominciare subito». 

«Certo che sono d’accordo», disse subito intenerito Brogetto. «Ma a patto che appena potrò vi darò il cambio. Il lavoro è tutta la mia vita e non saprei proprio farne a meno. Offrirvi le cose buone del mio orto non è una fatica per me, è la mia soddisfazione. Non so come ringraziarvi della vostra proposta!... Grazie grazie».

Brogetto inghiottì un paio di lacrime di commozione e chiuse la finestra: stava già starnutendo a più non posso e temeva di spaventare gli animali che lo guardavano dal prato davanti alla sua casa.



Gli animali si sparpagliarono nell’orto e nei dintorni per svolgere il lavoro per il quale si erano impegnati. Erano tanti e da quel giorno lavorarono a turno per riportare l’orto al suo pieno splendore. C’era sempre qualcuno che lavorava alle coltivazioni o all’alveare, mentre altri si occupavano a turno della propria famigliola. Ognuno si dava da fare per svolgere al meglio il compito che aveva scelto.


Quando a Brogetto il folletto passò il raffreddore da fieno, gli animali non lo lasciarono. L’orto era diventato più grande e occorreva l’aiuto di tutti. I compagni folletti venivano spesso a trovare il loro vecchio compagno, tanto il luogo era piacevole e spesso portavano i loro figli a giocare con i coniglietti o le farfalle. E da quell’anno il bosco si chiamò Bosco Felice e Brogetto visse allegro e contento i due o trecento ultimi anni che la vita gli riservava…